Industria automotive e transizione elettrica tra investimenti e riconversioni

La transizione alla mobilità elettrica è un processo ormai avviato e forse giunto a un punto di non ritorno.
Le prime a prenderne atto sono state le stesse case automobilistiche, anche se la scelta, come vedremo, non è indolore.

I dati contenuti in questo articolo e relativi alle criticità del passaggio all’elettrico per l’industria automotive, sono purtroppo destinati a essere sostituiti a breve da numeri ben più preoccupanti, come conseguenza della generale crisi economica provocata dall’epidemia di Coronavirus.

Basti pensare alle notizie provenienti dalla Cina, dove in febbraio la vendita degli autoveicoli ha registrato un calo del 79% (dati della China Passenger Car Association).

Quella che vorremmo presentarvi è quindi una fotografia pre-Coronavirus dello “stato dell’arte” dell’industria automobilistica.

Per passare all’elettrico si tagliano posti di lavoro

In una recente intervista al quotidiano economico tedesco Handelsblatt, il CEO di Volkswagen Herbert Diess ha dichiarato che la casa automobilistica intende abbandonare il gas naturale, a fronte delle scarse immatricolazioni di auto a metano in Germania, per puntare tutto sull’elettrico.

In realtà è già da qualche anno che i grandi brand del settore stanno aumentando gli investimenti per la conversione alla trazione elettrica, per sostenere i quali, però, tagliano i costi della produzione tradizionale.

Sempre secondo Handelsblatt, prossimamente Daimler AG potrebbe licenziare 15mila persone.
La casa automobilistica tedesca, che comprende i marchi Mercedes-BenzMaybach e Smartaveva già annunciato l’eliminazione di almeno 10.000 posti di lavoro entro il 2022, per finanziare la transizione all’elettrico.

Nel giugno 2019 è stata preceduta da Ford, che ha dichiarato di voler tagliare 12.000 posti di lavoro in Europa entro il 2020, chiudendo 6 impianti su 18.

Honda intende eliminare 3.500 unità lavorative nel 2020 nel Regno Unito, mentre Audi, a fine novembre 2019, ha annunciato 9.500 tagli.

Ad accelerare il processo sono stati gli obiettivi di emissioni di Co2 posti dall’Unione Europea: per il 2030 dovranno essere inferiori del 37,5% rispetto al limite di 95 grammi per km del parco veicoli previsto per il 2020-21.
Le case automobilistiche che non riusciranno a raggiungere tale media dei 95 g/km, verranno sanzionate.

Come spiega la rivista Energia Oltre, infatti, “il superamento del limite di 95 grammi di anidride carbonica per ogni chilometro comporta una multa di 95 euro per ogni grammo per chilometro oltre il limite, moltiplicato per il numero totale di auto vendute dal costruttore”.

I rischi per imprese e occupazione

Le decisioni europee, a cui fanno eco i vari Piani energetici degli Stati membri, rispondono a oggettive emergenze ambientali. Ma il risvolto economico di tali decisioni presenta parecchie zone d’ombra.

A risentirne innanzi tutto i comparti legati alla produzione dei veicoli considerati inquinanti, come i diesel.
Per limitarci a un esempio italiano, Bosch, nel novembre 2019, ha annunciato, per lo stabilimento di Bari specializzato nella produzione di pompe per i diesel, 620 esuberi entro il 2022.

Ma il problema si allarga a tutta la filiera collegata agli automezzi con motore a scoppio.

In un approfondimento il portale Qualenenergia.it evidenzia che per la costruzione di veicoli elettrici occorre circa il 40% di componenti in meno rispetto alle auto con motori a combustione interna: non c’è bisogno di raffreddamento, cambio, iniezione…
Componenti che alimentano una vasta filiera di fornitori che, infatti, ha iniziato a risentire del cambiamento.

Per citare un caso, la tedesca Mahle, azienda produttrice di pistoni, ha annunciato la chiusura di tutti i suoi stabilimenti italiani e avviato le procedure di licenziamento.

In un intervento per Il Sole 24OreLorenzo Paoli, Director Strategic di Management Partners, ha descritto così la situazione italiana: “Il passaggio all’elettrico comporta una serie di rischi per le imprese che operano nel settore, imprese che nel nostro paese sono Pmi nell’82% dei casi e danno lavoro a 260.000 addetti.

Per capire i potenziali effetti/rischi sull’indotto automotive, si pensi che il 50% del costo industriale di un’auto elettrica non è presente all’interno di un’auto tradizionale endotermica. E gli effetti non si limitano alla powertrain, ma si estendono anche a carrozzeria, telaio e interni”.

Secondo uno studio di Alix Partners, riportato da Il Sole 24Ore, per assemblare un motore termico e la trasmissione per le macchine a combustione interna servono mediamente 6,2 ore di manodopera.

Nel caso di auto ibrida plug-in, le ore salgono a 9,2, perché occorre assemblare anche il motore elettrico e le batterie.

Invece, per un’auto full electric le ore scendono a 3,7, ossia il 40% in meno, poiché la trasmissione è più semplice e il motore termico non c’è.

Le ibride plug-in, proprio per questa loro maggior complessità, sono viste come una possibile fase di passaggio, meno traumatica, per arrivare all’elettrico “puro”.

Davide Tarsitano, docente di Meccanica applicata alle Macchine al Politecnico di Milano, ritiene che si stia creando “un vasto spazio per le auto ibride plug in, con ricarica dalla rete, che, avendo batterie più piccole, costano poco più delle auto convenzionali, ma permettono l’uso elettrico sui brevi percorsi quotidiani, e a benzina su quelli lunghi, senza problemi di ricarica.
Le ibride hanno bisogno di componenti elettrici ed elettronici, ma anche di quelli tradizionali per motori a scoppio”.

Mobilità elettrica e nuovi business

D’altro canto c’è chi mette in evidenza le specifiche esigenze della mobilità elettrica, destinate a creare inediti settori produttivi e nuove professioni.

Ad esempio, nel campo dei materiali.
Il rapporto della società di ricerche di mercato, con sede a Cambridge, IDTechEx“Die attach materials for power electronics in electric vehicles 2020-2030”, prevede che il mercato dei componenti sinterizzati per il settore automotive toccherà il valore di 30 miliardi di sterline entro il 2026.

Sono da considerare anche tutte le opportunità legate alla guida autonoma, alle modalità di ricarica, fino al settore delle batterie, sul quale la Ue sta puntando con il progetto Battery2030+, che include la creazione di 16 gigafactory in Europa (di cui due in Italia) per la produzione di batterie, in modo da eliminare la dipendenza dal mercato asiatico.

La e-mobility in Italia

Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, in un’audizione nella X Commissione del Senato lo scorso 4 febbraio, ha presentato una panoramica del mercato dell’auto elettrica in Italia: “In Italia il mercato della motorizzazione elettrica si presenta ancora allo stato embrionale con quote di mercato minoritarie.

Nel 2019 sono stati venduti in totale 17.065 veicoli elettrici, di cui 10.566 Battery Electric Vehicle, BEV, e 6.499 Plug-in Hybrid Electric Vehicle, PHEV, con un incremento del 71% rispetto al precedente anno (dati Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri, UNRAE).

Questo dato riferito al complessivo totale delle immatricolazioni si attesta allo 0,8% del venduto, in crescita di 0,2 punti rispetto all’anno precedente.
Il parco elettrico circolante è indicato in circa 39.000 veicoli. La dinamica delle vendite si concentra essenzialmente negli ultimi due anni (27.041 veicoli elettrici)”.

Enea riporta poi i dati di Transport & Environment – la Federazione europea delle Ong impegnate sul fronte ambientale – che ipotizza la creazione, nel settore della mobilità elettrica, di 120.000 nuovi posti di lavoro in Europa, di cui 18.000 diretti e i restanti indiretti (forniture, logistica, subcontraenti, automazione, studi di ingegneria…).

Passando all’Italia – prosegue il rapporto Enea – “l’industria italiana sta reagendo al ritardo iniziale con cui ha risposto alle nuove tecnologie automotive e sta recuperando attraverso una produzione in stabilimenti nazionali sia di un modello BEV che di veicoli PHEV di classe elevata.

Circa i volumi produttivi T&E stima un incremento del 7,5% come differenza tra maggiori veicoli elettrici e minori convenzionali. Contemporaneamente viene stimata in leggera crescita l’occupazione nei prossimi anni, anche a fronte di una maggiore automazione industriale”.

Le criticità maggiori si rilevano invece per il settore della componentistica.
Come riferisce Enea, secondo T&E “l’avvento dell’elettrificazione ridurrà i volumi produttivi di alcuni componenti non più previsti sui veicoli quali filtrazione, lubrificanti, trasmissione, iniettori, valvole e finanche i retrovisori (sostituiti da retrovisori elettronici).
Per questo settore andranno prese misure per accompagnare la transizione verso nuove tecnologie elettriche (connettori, cavi, isolanti, sistemi elettronici ausiliari…)”.

Più ottimistiche le prospettive tratteggiate da Motus-E, l’Alleanza italiana per la mobilità elettrica, in un recente convegno a Torino, dal titolo “Mobilità sostenibile al lavoro”, 30-31 gennaio 2020, organizzato dalla rete di associazioni Sbilanciamoci e da Fiom Cgil.

Qui Motus-E ha presentato una ricerca, in collaborazione con lo Studio Ambrosetti, in cui viene evidenziata la presenza in Italia di una rete di piccole e medie imprese impegnate nella riconversione, con 5,4 miliardi di ricavi derivati dalla e-mobility.

La stessa Motus-E, comunque, ha presentato al Governo una serie di proposte non solo per incentivare l’acquisto di auto elettriche e per lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica ma anche per sostenere la filiera del settore automotive:

  • agevolazioni alle reti di impresa e alle aggregazioni di Pmi del settore;
  • potenziamento dello strumento delle “reti di impresa ambientale”;
  • sostegno agli investimenti in Ricerca e Sviluppo e riconversione industriale (anche con la creazione di un Tech Transfer Lab);
  • supporto alla formazione e riconversione delle competenze, utilizzando i programmi di Industria 4.0;
  • sgravi fiscali per l’assunzione di tecnici e riqualificazione del personale;
  • fondi dedicati all’assunzione di giovani.

Le preoccupazioni del Governo

Se le prospettive economiche sul lungo termine possono apparire incoraggianti, sul breve periodo la preoccupazione cresce.

Il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha recentemente dichiarato a Il Sole 24Ore di voler introdurre incentivi alla rottamazione finalizzati anche all’acquisto di veicoli a trazione tradizionale, per dare un boost all’industria automobilistica italiana.

“L’automotive è al centro di una transizione complessa che va supportata – ha detto Patuanelli – Bisogna pensare a degli strumenti di rottamazione anche per l’acquisto di auto non elettriche.
Dobbiamo partire da un dato: abbiamo un parco auto fatto per il 62% di auto da Euro 4 in giù, macchine che hanno almeno 10 anni. E il 32% sono Euro 3.

Abbiamo bisogno di una nuova rottamazione per migliorare i livelli di emissioni e per dare un po’ di ossigeno al settore. E lo stesso discorso vale per le moto e il comparto delle due ruote”.

Immediata la levata di scudi di Motus-E: “Proposte come quella del Governo rischiano di fiaccare, nel nostro Paese, qualsiasi slancio di ripresa sia in termini industriali che occupazionali, in un contesto macroeconomico non certo favorevole, proprio nel momento in cui si stanno riconvertendo gli stabilimenti per la produzione di auto elettriche”.

Ciò che è certo è che il settore automotive sta vivendo un delicato periodo di passaggio, dove la necessità di investimenti per lo sviluppo dell’elettrico non può tralasciare l’esigenza di preservare posti di lavoro e impianti produttivi attraverso l’elaborazione di piani di riconversione e la formazione del personale.