Il talent management nell’impresa anti-fragile

Il concetto di talent management ha compiuto 20 anni nel 2018. Comparve infatti nel 1998 in un articolo firmato da David Watkins di Softscape.
Generalmente viene definito come un sistema integrato di attività che hanno lo scopo di attrarre in azienda, conservare, motivare e sviluppare risorse umane qualificate, destinate a ricoprire ruoli chiave.

Cosa fa il talent management?
Secondo Prathigadapa Sireesha e Leela Krishna Ganapavarapu (“Talent Management: A critical review”), il talent management dovrebbe favorire nei dipendenti l’assunzione di responsabilità; sostenere le persone nelle diverse fasi della loro carriera; fornire feedback delle loro performance, coinvolgendole nella riflessione su cosa occorra modificare e migliorare.

Dovrebbe non tanto concentrarsi sulla ricerca e la retention di persone con spiccati talenti, idonee ad assumere posizioni rilevanti per il business, quanto sull’individuazione delle potenzialità di ogni dipendente, per consentire una crescita organica di tutta la comunità aziendale.

Il talent management nell’attuale “Planet VUCA”

Come si coniuga il talent management nella persistente situazione di instabilità globale, economica, politica e sociale, in un mondo caratterizzato da – per usare un acronimo nato nel 1987 nell’ambito delle teorie sulla leadership di Warren Bennis e Burt Nanus – “Volatility, Unpredictability, Complexity, Ambiguity (VUCA)”?
Un mondo che da tempo ha messo in crisi i più classici modelli di organizzazione aziendale e che richiede un approccio completamente diverso ai concetti di imprevisto e di crisi.

Tale approccio è stato teorizzato dal filosofo ed esperto di matematica finanziaria Nassim Nicholas Taleb e si riassume nel concetto di “anti-fragile set up”, illustrato nel suo saggio “Antifragile”, pubblicato nel 2012.

Taleb distingue tra:

  • sistemi aziendali fragili, destinati a soccombere davanti alle sfide del Planet VUCA;
  • sistemi resilienti, costruiti per resistere agli urti e mantenere la stabilità del proprio assetto, con uno sforzo che però finisce per indebolirli nel lungo periodo;
  • sistemi “anti-fragili”, strutturati per rafforzarsi proprio grazie alle avversità, che convivono con l’incertezza e da questa traggono lo stimolo a crescere.

Di anti-fragile set up ci siamo occupati anche in un precedente articolo del nostro blog, “Cambiare modello per rigenerare l’impresa”, che riporta quanto emerso in un incontro organizzato da TMA Italia.

Il talent management anti-fragile: potere decisionale decentrato, dialogo aperto, trasparenza

Quali sono le aziende a rischio di “fragilità”?

Quelle che concentrano il potere decisionale in una sola struttura, costituita da poche persone di vertice, le quali stabiliscono le linee guida per l’intera organizzazione, traducendole in procedure standardizzate. Alla base c’è l’intento di controllare meglio l’azienda, assicurandone la stabilità.

L’azienda anti-fragile, invece, decentra il più possibile il potere decisionale, affida ai manager maggiori responsabilità e autonomia, accrescendone così la motivazione e la disponibilità a mettersi in gioco in caso di cambiamenti.

L’azienda anti-fragile non adotta modelli rigidi, procedure standard, ma lascia ampio spazio di manovra alle diverse aree, ai team impegnati sui vari progetti, team che devono essere intercambiabili, offrendo ai dipendenti la possibilità di cimentarsi in situazioni e ruoli sempre nuovi.

In questo tipo di azienda il talent management sostiene l’autonomia decisionale dei singoli manager, offrendo loro la possibilità di organizzarsi liberamente per raggiungere i propri obiettivi, promuovendo una leadership diffusa.

In questo tipo di contesto possono emergere figure di “intrapreneur manager”, che trovano qui lo spazio per mettere a frutto il proprio mindset imprenditoriale.

Nel documento Ue “EntreComp: The Entrepreneurship Competence Framework”, l’imprenditorialità viene definita “una competenza trasversale che si applica a tutte le sfere della vita: dal perseguire lo sviluppo personale al partecipare attivamente alla società, all’entrare (o rientrare) nel mercato del lavoro in quanto lavoratore dipendente o autonomo, e anche avviare un’impresa (di valore culturale, sociale o commerciale)”.

La creatività, la dedizione, le capacità strategiche, la determinazione e le altre qualità che associamo all’idea di imprenditore, se appartengono ad un manager, possono essere certamente apprezzate in un contesto di gestione decentralizzata, in quanto contribuiscono notevolmente al successo dell’organizzazione.

Il principale “tool” del talent management? “Candor and open dialogue”

Nell’azienda anti-fragile è costantemente attivo un canale di confronto tra vertici, manager e dipendenti: un confronto che deve essere aperto (Patrick Dailey e Charlie Bishop parlano di “candor and open dialogue”) e trasparente, in cui dunque le informazioni circolano e sono a disposizione di tutti.

Il talent management favorisce questo tipo di confronto anche per quel che riguarda le potenzialità del singolo, le sue prospettive di carriera, i suoi bisogni formativi, con un approccio personalizzato.

Ciò significa, ad esempio, fornire ai manager un nuovo linguaggio e nuovi strumenti per esercitare la propria leadership non più in termini di gestione delle proprie persone ma piuttosto di collaborazione, evitando schemi di giudizio prefissati e griglie di valutazione uguali per tutti.

Il talent management nell’azienda anti-fragile si “prende cura” del singolo e lo valorizza per quello che, ora, è in grado di dare e perché sia un domani disposto a continuare a dare in un contesto magari totalmente mutato.

In un ambiente coinvolgente, in cui le persone sono rese partecipi delle scelte, in cui i manager possono mettere in gioco le proprie capacità imprenditoriali, l’arrivo di un “cigno nero”, come Taleb definisce gli eventi assolutamente imprevedibili e che determinano un totale mutamento di situazione, vedrà l’intera azienda trasformarsi agevolmente per adattarsi a tale mutamento, una trasformazione che la renderà migliore e più competitiva.

Come spiega Nassim Taleb, “cultivating antifragility enables us to minimize the potential harm from negative Black Swans while capturing the benefits of positive ones. It is all about developing a productive and flexible relationship with volatility”.

In sintesi, dunque, come si devono muovere imprenditori, manager, responsabili HR per affrontare le sfide del presente nella gestione dei talenti?
Cambiare mindset, adottare nuovi parametri, creare spazi di dialogo.

Vertus, con i suoi programmi di talent management ed i percorsi di “manager coach(ing)”, si propone come guida in questo percorso innovativo, forte delle sue dirette esperienze di trasformazioni aziendali, partite da crisi e trasformatesi in successi.

Esperienze che hanno mostrato che ci si salva accettando di cambiare, mettendosi in gioco, mentre gli sforzi per mantenere lo status quo e i vecchi schemi sono destinati a fallire.

Un nuovo sguardo sulla crisi di impresa: da criticità a modelli di sviluppo

È possibile trasformare in opportunità le criticità di un’impresa derivanti da dismissioni o delocalizzazioni di impianti?
Vediamo insieme la risposta data dai relatori dell’incontro “Cambiare modello per rigenerare l’impresa”, organizzato da TMA Italia e svoltosi a Milano il 30 ottobre 2019.

La mission di TMA

TMA Italia è la sezione nazionale di TMA – Turnaround Management Association, organizzazione non profit dedicata ai temi delle ristrutturazioni aziendali, che divulga la valenza sociale del risanamento delle imprese condotto in base ad alti standard etici ed efficaci pratiche metodologiche.

L’approccio innovativo di Vertus

La prima relazione dell’incontro è stata affidata ad Alessandro Ielo, founder di Vertus, che ha presentato il panorama italiano delle crisi in atto, distinguendo tra crisi finanziarie e crisi industriali.

In Italia sono più di 200.000 i lavoratori coinvolti da contesti di crisi. Il 60% delle crisi apertesi negli ultimi 3 anni non sono ancora state risolte.

Nei contesti di crisi industriale, l’errore più frequente delle imprese, ha spiegato Ielo, è quello di optare per la chiusura “a freddo”: specie nel caso di multinazionali, la casa madre individua il/i plant da dismettere e ne ordina lo stop, con conseguenti licenziamenti.

Questa modalità traumatica, soprattutto nel nostro Paese, dove i sindacati sono influenti e il contesto normativo è complesso, può portare a serie conseguenze: dal blocco della produzione per gli scioperi ai danni reputazionali che si riverberano su tutta l’azienda.

Vertus propone invece un approccio che, fin dai primi passi, si pone in una prospettiva di rilancio. Partendo dall’analisi delle risorse esistenti – strutture e persone – si punta ad identificare un nuovo business plan proposto da nuovi investitori per riassorbire le maestranze ed aprire nuove nicchie di mercato, facendo leva anche sugli strumenti della finanza agevolata.

Tale genere di approccio in Italia è ancora poco diffuso, anche perché non sostenuto a livello legislativo. In Francia, ad esempio, la grande impresa che voglia avviare una ristrutturazione aziendale deve contestualmente presentare un piano di rilancio.

In realtà il ruolo degli advisor della reindustrializzazione è destinato a crescere di importanza, soprattutto se si considerano i processi di innovazione tecnologica in corso: dalla transizione all’elettrico, che potrebbe mettere a rischio 150.000 posti di lavoro, ai grandi cambiamenti introdotti da Intelligenza Artificiale e Internet of Things. Agli advisor il compito di fare da cerniera tra il modello manifatturiero tradizionale e le nuove tecnologie.

L’anti-fragile set up: dall’incertezza uno strumento di forza

Quando parliamo di andamento dei mercati o di trend produttivi, non possiamo fare a meno di constatarne l’incertezza.

A fronte di tale mutevolezza, fusioni e acquisizioni, attuate per dare vita a nuovi soggetti più solidi, hanno prodotto realtà industriali più grandi ma meno flessibili davanti alle continue richieste di innovazione che lo sviluppo tecnologico impone. Non solo: le grandi organizzazioni aziendali soffrono di un eccessivo accentramento dei processi decisionali e delle responsabilità, con un atteggiamento “top-down” che non coinvolge le strutture periferiche.

Eppure trasformare questo scenario complesso in una fonte di opportunità è possibile, secondo il modello “anti-fragile” del filosofo e matematico Nicholas Taleb.

Ne ha parlato Matteo Bonelli, partner dello studio legale BonelliErede.

Il futuro non si può prevedere e le aziende devono tenerne conto.
L’anti-fragile set up legge l’incertezza e le tensioni che ne derivano come vantaggiose possibilità.

L’anti-fragile mindset chiede all’imprenditore di elaborare preventivamente, coinvolgendo management e dipendenti, un piano alternativo per ogni eventualità che il futuro possa riservare.

Per farlo, vanno messe in luce tutte le risorse presenti, valorizzandole.
Ai manager, in quest’ottica, vanno affidate maggiori responsabilità e autonomia decisionale, per aumentarne la motivazione e renderli disposti a mettersi in gioco in caso di cambiamenti.

La parola d’ordine è essere “lean”. E l’agilità, l’adattabilità dell’impresa passano anche da un maggior utilizzo dell’outsourcing.

Dalla dismissione di un plant al rilancio

Il case study aziendale di una dismissione trasformatasi in un goal è stato raccontato da Francesco Conti, Congress e Regulatory Director di Medtronic, multinazionale per la produzione di device medicali.
Dopo una serie di acquisizioni, all’azienda si imponeva una razionalizzazione degli impianti.

Dall’headquarter negli Usa era giunta la decisione di chiudere un plant in Italia, chiusura da attuare in un preciso lasso di tempo e senza superare un determinato budget in base alle pressioni degli investitori.

Tale atteggiamento “top-down” ha portato a una serie di prevedibili reazioni.
Immediate sono state le prese di posizione contrarie di sindacati e del Governo: alcuni ministri sono scesi in piazza a sostegno delle proteste dei lavoratori.

Da questa fase di tensione si è potuti uscire avviando una procedura che ha coinvolto tutti gli stakeholder.

Per farlo Medtronic ha scelto la consulenza di Vertus: è stato così costituito un team composto da azienda, sindacati, esperti giuslavoristi e consulenti per la reindustrializzazione, team che è riuscito a tracciare un percorso positivo di uscita dalla crisi.

Prevenire per affrontare il cambiamento e trasformarlo in risorsa

Il dialogo con le parti sociali, il coinvolgimento di management e dipendenti sono gli ingredienti della ricetta che può consentire a un’azienda di affrontare un cambiamento minimizzandone la traumaticità.

Gabriele Ghinelli, founder e Ceo di OrgPortunity, ha rilevato come la paura (del futuro, delle novità, delle sfide dei mercati) spesso irrigidisca imprenditori e management, impedendo all’azienda di modellarsi per continuare a essere competitiva.
Tutte le competenze e le capacità vanno valorizzate attraverso un’adeguata politica di talent management, che distribuisca le responsabilità in un vero gioco di squadra.

Ghinelli ha poi sottolineato come mantenere rapporti costanti con sindacati e parti sociali, anche in periodi di normale attività, ponga le basi per affrontare con il confronto eventuali trasformazioni.

Cristiano Pechy, Country Manager e Ceo di Lee Hecht Harrison, ha posto l’accento sulla prevenzione delle crisi.
La digitalizzazione ha accorciato il life circle delle professioni: la tecnologia si evolve continuamente, le specializzazioni invecchiano velocemente e ne nascono di nuove.

Purtroppo in Italia nel settore industriale si presta insufficiente attenzione all’aggiornamento di procedure e personale e anche i dipendenti sono poco disponibili alla riqualificazione. Così i tassi di employability sono molto bassi e ostacolano eventuali ricollocamenti.

Solo un maggior engagement delle risorse umane e un’accresciuta corresponsabilità dei manager (ritornando alla necessità di un accurato talent management) renderanno i dipendenti aperti alle trasformazioni. Con tali premesse i cambiamenti, anche rilevanti, potranno essere positivamente affrontati.

Qual è dunque il ritratto dell’impresa anti-fragile emerso dai contributi dei relatori? Un’impresa snella, aperta all’innovazione, che decentra le responsabilità ed esternalizza servizi, che pensa di avere nel futuro più strade da percorrere e ne traccia le tappe.